“E’ stata una decisione sofferta ma giusta. Dovevamo esprimere la nostra solidarieta’ con i colleghi arrestati. Pensi che in Egitto, ancora oggi, un giornalista puo’ finire in carcere sulla base di 18 articoli del codice penale”. Mahmud Bakri e’ il vice-direttore di “Al-Osbo’a”, uno dei 22 giornali indipendenti che domenica 7 ottobre hanno deciso, tutti insieme, di non uscire per protesta. “Liberta’ per la stampa e per i giornalisti”: listati a lutto per un giorno anche i loro siti Internet. Una decisione senza precedenti, e certamente molto coraggiosa, in un Paese dove, per aver scritto che “il 90 per cento dei giudici egiziani di primo grado non ha le competenze giuridiche necessarie”, 3 giornalisti sono stati recentemente condannati a due anni di galera per “oltraggio alla giustizia”. O, come 4 direttori di giornali, condannati ad un anno di lavori forzati per aver definito “dittatoriale” il Partito del presidente egiziano Hosni Mubarak, al potere da oltre un quarto di secolo. “Era ora che scioperassimo”, dice Mustafa Obeid, un giovane redattore di ‘Gomhurriya’, “ma temo che un solo giorno non basti per far passare il messaggio”. “Il problema”, aggiungono altri, “e’ che agli egiziani manca la coscienza dei propri diritti. Anche perche’ noi giornalisti a stento riusciamo a dar conto del crescente malcontento sociale del Paese”.
Un malcontento che solo sporadicamente emerge su stampa e TV di regime, e solo quando a scioperare sono i simboli stessi del settore produttivo e industriale dell’Egitto. Marc Innaro
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