Tuesday, November 13, 2007

Confermata pena di morte per Adnan


Adnan Hassanpour, il giornalista curdo deve finire a ogni costa sulla forca. Lo ha deciso la Corte Suprema della Repubblica Islamica, che giovedì scorso ha confermato la sentenza di morte emessa lo scorso 16 luglio dal Tribunale della Rivoluzione di Sanandaj, nel Kurdistan iraniano. Ha avuto più fortuna, per ora, Hiwa Boutimar, il compagno di disavventura di Adnan, anche lui giornalista e membro di una associazione ambientalista. Per Hiwa, la Corte Suprema ha chiesto di rimandare il caso al Tribunale del Riesame. La condanna a morte di Hiwa e Adnan aveva provocato l'indignazione dei governi di Roma e Parigi, era stato condannato dalla Presidenza portoghese dell'Unione Europea e di recente anche dal Parlamento Europeo. Ovviamente, anche le più importanti associazioni internazionali che si occupano dei Diritti dell'Uomo e della libertà d'espressione, avevano condannato la decisione del Tribunale della Rivoluzione di Sanandaj, chiedendo l'immediata liberazione dei due giornalisti. In Italia, Information, Safety and Freedom e Articolo 21, si sono mobilitati immediatamente per fermare il boia. Migliaia di semplici cittadini e decine di deputati avevano sostenuto questa campagna, che ha avuto anche l'adesione dell'organizzazione Nessuno Tocchi Caino. Una campagna che - se e forse - è riuscita a salvare dalla forca Hiwa, dovrà continuare fino a quando anche la condanna a morte per Adnan (nella foto) non sarà cancellata. Adnan e Hiwa saranno con noi il prossimo 30 novembre, a Siena, dove riceveranno il premio internazionale di giornalismo "Città di Siena-ISF". Certo, non saranno a Siena fisicamente, ma le loro idee ci raggiungeranno nella città toscana, grazie agli interventi previsti di uno dei loro legali, e le parole dei loro familiari. Saranno, infatti, con noi Hadi, fratello di Hiwa, e Leyli, la sorella di Adnan. Un momento importante, quello di Siena, che deve diventare un momento di piena solidarietà verso chi, nella Repubblica Islamica, si batte per la democrazia e per la libertà. Una lotta che spesso comporta carcere e tortura, e perfino richiede il sacrificio della vita. La Repubblica Islamica da anni è al secondo posto, preceduta solo dalla Cina, nella macabra classifica delle condanne alla pena capitale emesse ed eseguite. La presenza di familiari di Hiwa e Adnan, deve diventare un momento di lotta contro la pena di morte, e non solo nella Repubblica Islamica. Il governo italiano, che si è fatto portavoce della richiesta di moratoria della pena di morte, presentando una risoluzione al Consiglio Generale delle Nazioni Unite, certo non può rimanere indifferente al caso di Hiwa e Adnan. Le nostre istituzioni, hanno l'occasione, e secondo il mio modesto parere anche l'obbligo, di incontrare la sorella di Adnan e il fratello di Hiwa per esprimere solidarietà dell'Italia ai familiari di questi due giornalisti, ma soprattutto per affermare che nel Terzo Millennio non è più tollerabile che uomini e donne finiscano sul patibolo per il semplice fatto di esprimere le proprie idee, di non condividere le politiche di un governo, o per rivendicare i diritti negati al loro popolo. Hiwa e Adnan, curdi, laici e di sinistra, hanno una sola colpa: essere contrari a un governo teocratico che non riconosce il diritto a nessun tipo di dissenso.

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