Wednesday, April 25, 2007

L'inferno della Nigeria

Arrestati due giornalisti italiani in Nigeria. Si tratta di Manuele Piano e Marco Ricchello, free lance per Liberazione, ma autori anche di diversi servizi tv per televisioni italiane e siti internet. I due sono stati arrestati oggi dai servizi di sicurezza nigeriani ad Abuja e portati nella stazione di polizia di Oliver Tombo. Formalmente sono stati accusati di svolgere lavoro giornalistico pur essendo in possesso di un visto turistico, ma in realtà erano in possesso di un visto business che permetteva loro di lavorare nel Paese africano. Grazie all'intervento della Farnesina dopo qualche ora sono stati rilasciati.

Tanti anni fa, più o meno venti. Stavo in Nigeria per seguire la vicenda dei rifiuti tossici. In una discarica dalle parti di Benin city, nel porto di Koko, erano stati ammassati centinaia di bidoni provenienti dall'Italia. Scaricati, grazie alle complicità locali, da ditte italiane. Nel filmato quelle ditte erano individuabili e, dopo il servizio in televisione, l'allora pretore Amendola aprì un'inchiesta che portò alla condanna di quelle ditte. Anche noi, per fare quelle riprese, fummo costretti a pagare. Come fummo costretti a pagare appena entrati nel Paese solo per riavere il passaporto o per avere la stanza superprenotata dell'albergo. Poi a Lagos tentammo di seguire un'altra vicenda delicata: il sequestro da più di un mese di ventiquattro marinai italiani, bloccati su una nave mercantile. Forse legato alla storia dei bidoni tossici perchè il governo nigeriano voleva un risarcimento e teneva quei marinai come ricatto. La questione del sequestro era ufficiale e allora decidemmo di non pagare nessuna tangente. Ci mettemmo tranquillamente in fila. Dopo nove giorni estenuanti riuscimmo ad ottenere il permesso del ministro dell'informazione e del governatore della capitale. Pieni di pezzi di carta andammo allora al porto a riprendere la nave. L'operatore fece appena in tempo a tirare su la telecamera che ci arrestarono. Ricordo, nome lugubre, si presentarono come SSS: i servizi di sicurezza del presidente. Con potere su tutto e su tutti. Ci dissero: "Quella per noi è carta straccia". Ci tennero per un giorno in gattabuia e poi ci tolsero i passaporti in quello che era una specie di arresto domiciliare: chiusi nella stanza d'albergo con due ufficiali fuori la porta. Che però la notte andavano via convinti che ormai tanto non eravamo pericolosi (con il buio) e invece noi andavamo all'aeroporto a spedire i servizi girati dalla terrazza che stava proprio sopra il porto. La stessa sorte toccò anche a una troupe del Tg2 guidata dall'amico Stefano Marcelli che ora si batte per la libertà di stampa. Quell'avventura meriterebbe un lungo racconto come la grande paura di vivere a Lagos dove la vita non valeva una "naira", con gli italiani asserragliati dentro casa e la scoperta del mercato di carne umana. Dopo otto giorni ci mandarono via, per fortuna. Qualche giorno dopo mi arrivò in redazione a Roma una letterina dell'ambasciata nigeriana. Gentissima. Avvertiva: "Per il vostro bene non tornate mai più a Lagos, è un consiglio". Non ci sono più tornato. Dovevo tornarci due mesi fa, ma invece il destino mi portò a Kabul. Non so se ci ho guadagnato, ma tant'è: fare il reporter ormai non è più facile da nessuna parte.

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