Tuesday, April 24, 2007
Somalia. un inferno
Mogadiscio è un inferno. I tentativi di tregua tra il clan Hawiye, che controlla la città, e le forze del governo somalo di transizione svaniscono dopo pochi giorni: come sempre riprendono i combattimenti e si contano solo i cadaveri. “Sei colpi di granata non sono una casualità” dichiara Ali Iman Sharmarke, direttore dell'emittente televisiva HornAfrik, la cui sede è stata colpita sabato scorso da diverse granate. L'esplosione avrebbe danneggiato, oltre al parcheggio e a una cisterna d'acqua, l'antenna dell'emittente e quattro persone dello staff sono rimaste seriamente ferite, tanto da dover essere trasportate d'urgenza in aereo verso il Kenya per ricevere cure adeguate. Sharmarke rincara le accuse aggiungendo che “vi è la possibilità che l'intento delle truppe etiopi e del governo di transizione somalo fosse quello di negare al nostro pubblico internazionale la possibilità di vedere cosa sta accadendo in Somalia”. L'emittente era stata più volte criticata da autorità del governo e il fatto che membri dello staff facciano parte del clan Hawiye, il più potente in Mogadiscio, non ha certo migliorato la situazione. Sharmarke ha specificato: “Non possiamo negare il fatto che apparteniamo al clan Hawiye, ma questo non interferisce con il nostro lavoro giornalistico e sfido chiunque a trovare comportamenti o notizie che non seguano gli standard di professionalità e di etica lavorativa”. Non si tratterebbe del primo caso di intervento del governo nelle faccende mediatiche: dal dicembre scorso, ovvero dall'invasione delle truppe etiopi nel paese per scacciare il precedente governo delle Corti Islamiche, sono state molte le piccole emittenti locali costrette a chiudere. Il mese scorso il canale arabo al-Jazeera è stato costretto a sospendere le trasmissioni per non fomentare ulteriormente, secondo le accuse, la resistenza islamica a Mogadiscio. Il direttore di HornAfrik ha aggiunto: “Non tollerano che la Somalia abbia una libera informazione”. Le trasmissioni dovrebbero riprendere oggi, “sempre che non ci bombardino di nuovo”, conclude Sharmarke. Federico Frigerio PeaceReporter
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