Wednesday, June 13, 2007
La falsa libertà di stampa in Algeria
Algeri - Il meccanismo è il solito, come in tutto il Maghreb. Se arrivi ad Algeri con la telecamera ti accoglie un funzionario gentile e la impacchetta. “Nessun problema, basta chiedere l’autorizzazione”. Il giorno dopo vai allora al ministero dell’informazione (o della comunicazione, come si chiama qui) e devi riempire una miriade di fogli, nonostante i venti giorni attesi in Italia per avere il visto da giornalista. Naturalmente le risposte devono essere appropriate. Scopo del viaggio? Guai a dire, che so, terrorismo. Va benissimo scrivere “elezioni” così si sentono tutti più tranquilli. Passano un paio di giorni, se va bene, e ti restituiscono la telecamera con regalino però: quattro angeli custodi al seguito. Anche loro sorridono: “E’ per la vostra sicurezza” dicono. E intanto non ti mollano un attimo, neppure se vai in farmacia. L’età porta pure l’esperienza così sai come tranquillizzarli. La prima tappa è al quartier generale del Fronte di Liberazione Nazionale, cioè il partito del presidente, che governa da quarantacinque anni, altro che Dc. Da quando annullarono con un colpo di mano i risultati delle elezioni che avevano sancito la vittoria degli islamici del Fis. Naturalmente anche in questa occasione la coalizione che appoggia Bouteflika ha stravinto, ottenendo 249 seggi su 389 e viene spontanea la domanda: ma è un trionfo meritato oppure un consenso blindato? Insomma, la democrazia a che punto sta in Algeria? La domanda è rivolta naturalmente ai colleghi che incontro nella sala stampa elettorale. Prima di rispondere chiedono l’anonimato e già questo è un brutto segno. “Se leggi i giornali – ci dice un collega anziano – hai l’impressione di una grande libertà perché ci sono quotidiani che attaccano, anche pesantemente, il presidente. Ma è una tattica precisa. Bouteflika usa quegli attacchi come cavallo di Troia, dà l’idea di una grande apertura e invece è solo un’illusione perchè sa bene che in Algeria tutti hanno una televisione ma pochissimi comprano i giornali. Lo stesso vale per Internet, assai poco diffuso. Il presidente sa insomma che l’opinione pubblica è condizionata solo dalla televisione e dalla radio e allora lì arriva la mannaia, nessuno si può permettere un dissenso aperto”. E comunque, spiega ancora, la carta stampata vive di pubblicità e questa è per il novanta per cento di provenienza statale, come gli stabilimenti tipografici per stampare. Se qualcuno alza troppo il tiro, basta presentargli la fattura per farlo tacere. E se neanche il ricatto economico ci riesce, allora arriva la galera. La riforma del codice penale algerino del 2001 ha infatti introdotto pesanti ammende e pene detentive per diffamazione ai danni del presidente, del parlamento e di ogni altra istituzione pubblica. Attualmente sono in corso numerosi procedimenti penali per reati a mezzo stampa contro giornalisti di quotidiani privati francofoni, principalmente Le Matin, Liberté, Le Soir d'Algérie e El Watan. Dieci sono i giornalisti algerini attualmente in carcere: Farid Alilat, Fouad Boughanem, Hakim Laâlam, Abla Chérif, Hassane Zerrouky, Youssef Rezzoug, Yasmine Ferroukhi, Hafnaoui Ghoul, Ahmed Benaoum, direttore del gruppo editoriale Er-raï Elâm, e Mohamed Benchicou, direttore del giornale Le Matin, condannato a due anni di detenzione di rigore per aver violato la legge che disciplina il controllo dei cambi e i movimenti di capitali. La sua domanda di liberazione per ragioni di salute è stata respinta dalla magistratura algerina malgrado il netto aggravamento delle sue condizioni. Tornando a Roma, incontro all’aeroporto Giuliana Sgrena. Mi racconta di un solo angelo custode contro i miei quattro. Certo, non lavora per la televisione. Mette meno paura. Articolo21
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