Thursday, September 27, 2007

Così muore un fotoreporter



Giace a terra Kenji Nagai, il fotoreporter giapponese della Afp, colpito a morte dalla polizia birmana. Prima di spirare ha ancora la forza di fare l'ultimo scatto. Nagai, 52 anni, è stato colpito da spari nei pressi della pagoda di Sule, dove manifestavano oltre diecimila persone. A documentare il momento drammatico della sua morte è un collega della Reuters. Vedete proprio il momento del suo assassinio: ferito sta ancora fotografando quando un poliziotto passando gli spara a morte. Resta a terra esanime mentre i militari birmani corrono ad accanirsi sulla folla. Sembra che sia stato ucciso anche un reporter tedesco, ma la notizia non è confermata. In Birmania caccia ai giornalisti stranieri

Permettetemi una nota personale. Spesso la nostra categoria è attaccata, non rispettata, derisa. A tavolino si fanno analisi e si fanno le pulci al rimborso spese come se i soldi (ma neppure è vero: guadagniamo quanto quelli che seguono Miss Italia) servissero a cacciare paure e pericoli.
Basterebbe questa foto per capire il destino di un reporter. Quell'estremo atto di testimonianza è doloroso e commovente. Un simbolo di una categoria a cui mi sento fiero di appartenere.
Forse adesso qualche imbecille capirà perchè divento una bestia quando si attacca chi fa il mio mestiere. Quest'immagine dà il senso fisico dei rischi. Non è un film: quel fotografo coreano, nè più ragazzino nè eroe, è morto davvero. Facendo come ultimo atto quello che ha sempre fatto: raccontare una strage, i mali del mondo.
Per me in qualche modo è normale. Sto a Kabul, semplicemente a lavorare. Ma basta uscire e la tua vita è in mano a chi sta molto, ma molto più in alto di noi.


Basterebbe anche la caccia che i birmani danno ai giornalisti per capire l'importanza dei testimoni. Sono scomodi, scomodissimi. Se non ci fossero stati i reporter nessuno saprebbe adesso cosa sta succedendo, il massacro. La cosa ignobile è che tutti vogliono sapere tutto ma poi sono contro la categoria degli inviati: se non ci fossero loro come potrebbero sapere e discutere? Purtroppo ci sono i cretini anche fra noi, come il direttore di Libero che si permette di dire che "è uguale stare a Milano o a Baghdad". Certo, così sarebbe tutto omologato con un paio di telefonate alle fonti, cioè ai padroni del mondo. Le testimonianze forti che invece arrivano dalla Birmania stanno indignando tutti e forse questa carneficina di un regime protetto dai grandi finirà. Non invidio per niente i colleghi, coraggiosissimi, che stanno adesso a Rangoon.

5 comments:

vincenzo belluomo said...

grazie pino. grazie per il lavoro che fai per le persone come me che vogliono conoscere le cose del mondo.

Vincenzo Belluomo, Aversa.

vincenzo belluomo said...

ho scritto una cosa fissando quelle foto terribili...

http://verdepanda.spaces.live.com

Pino Scaccia said...

Letto, molto bello. Adesso non ho tempo perche a Kabul è una giornata pesante. Ma dopo ci faccio un post anche qui. Ciao.

Giovanni Braga Dettoni said...

innanzituto complimenti...
è da molto che la seguo (blog) e devo ammettere che la stima nei suoi confronti aumenta sempre.
Onestamente credo non avrei il coraggio per stare a Kabul, o comunque, più in generale, di stare in luoghi dove la guerra non è più solo guerra, ma delirio comune.
Ho pubblicato sul mio blog il suo ultimo post riguardante il giornalista ucciso in Birmania
www.room1512.wordpress.com
Colgo l'occasione per ringraziarla perchè credo renda un grande servizio.
L'informazione è democrazia!

Pino Scaccia said...

Grazie, sul serio. Se volete seguirmi da Kabul il mio blog è
LA TORRE DI BABELE

www.pinoscaccia.splinder.com