Thursday, December 06, 2007

Quando il boia non fa notizia

La morte fa notizia. Ne conosciamo tutti i particolari. Ne indaghiamo i fluidi , sangue, sperma, alla ricerca del Dna dell’assassino. Si fruga negli hard disk dei sospettati, alla ricerca di qualche indizio, magari di un’esplicita confessione che il colpevole abbia incautamente lasciato scivolare sulla tastiera. Poi ci sono i testimoni, sempre “super”, ormai, se solo, com’è loro dovere, ricordano qualche particolare interessante per le indagini. Poi c’è lo sfondo sociale, il sindaco che difende la città offesa,il parroco che ricorda i bravi ragazzi, i vicini, sconcertati oppure giustizialisti. E poi il dibattito sulla sicurezza, che manca,e il lassismo, che eccede. Qualche volta c’è persino il plastico della scena del delitto e quasi sempre sedicenti esperti che spiegano tutto senza dire niente.
In televisione, quando non ci sono i politici, è la morte, sempre più spesso a tenere la scena. Ogni giorno un delitto proposto e trattato come memorabile prende il posto di quello precedente.
Dice Roberto Natale, appena eletto presidente della Fnsi : “ Ormai gli omicidi vanno in onda a reti unificate “, come se nel trucidume indiscriminato del fattaccio, nella nera più nera , si attestasse l’ultimo baluardo del giornalismo vero, quello che si attiene ai fatti e risponde alle famose regole di base del modello anglosassone.Insomma pare non ci sia scelta : o politici o cadaveri. La vita comune , con la sua articolata complessità, le sue tensioni, le sue contraddizioni , gli alti e i bassi , le responsabilità, le emozioni , ormai gioca in serie B .
Forte di più di trent’anni di professione sulle spalle , so bene che la morte fa notizia. E so anche che ,in una classifica del notiziabile, da uno a cento, i parenti di un condannato a morte, valgono centodieci. Non c’è “spettacolo” più coinvolgente, evento mediatico più plateale e “vincente” che quello di portare il pubblico a condividere l’angoscioso tormento di un condannato a morte leggendolo negli occhi di un suo congiunto. L’attesa della morte , la prospettiva del patibolo, è ancora più morbosa e mediatica della morte consumata, passata in giudicato.
Eppure, quando abbiamo portato in giro per l’Italia Layla e Hadi, sorella e fratello di Adnan Hassanpur e Hiwa Boutimar , due colleghi iraniani di nemmeno trent’anni, condannati a morte da un Tribunale della Rivoluzione, il meccanismo del Grande Circo non si è messo in moto. Certo, abbiamo raccolto molte e importanti solidarietà , ultima quella di martedì a Montecitorio, e anche l’attenzione di alcuni colleghi ( Rainews24, Tg1,Tg3 ). Ma niente a che vedere con l’attenzione riservata all’ultimo omicidio di Provincia. In Iran sono già arrivate a più di duecento le esecuzioni capitali dalla scorsa estate. Molti condannati avevano compiuto i reati ascritti da minorenni. Adnan e Hiwa ,per di più, sono anche colleghi e in Iran sono duemila le testate giornalistiche chiuse negli ultimi anni dagli Ayatollah. Mi chiedo perché una storia così non attragga i giornalisti e nemmeno il mondo delle associazioni che si definiscono pacifiste, dei collettivi cattolici che invocano ogni giorno la difesa della vita. Cosa c’è di sbagliato in Adnan e Hiwa ? L’amico Giuseppe Giulietti sostiene che “sono iraniani, sono curdi e per di più sono laici, anzi, addirittura socialisti e quindi non rientrano nello schema dello scontro di civiltà”. Sarà questa la spiegazione?
Credo ci sia di più. E di peggio. Prendete il caso di Anna Politkoskaja. Quando è stata assassinata, tutti hanno fatto a gara per commemorarla in ogni forma. Ma oggi che Putin ,il suo avversario storico, oltraggia il concetto stesso di democrazia davanti al mondo,vincendo elezioni nelle quali il suo principale oppositore è stato bastonato in piazza, arrestato e impedito persino a presentare una lista elettorale, avete visto un solo speciale tv? Povera Anna uccisa, ma i colpevoli e i moventi di quell’assassinio stanno ben sepolti accanto a lei. Chi parla della guerra in Cecenia ? Chi racconta al pubblico la situazione nella Federazione Russa ?Silenzio. Dipende solo dal fatto che il nuovo Zar ( o Stalin) tiene in mano il rubinetto del nostro gas?
E Chavez ? Quello che molti vedevano come il nuovo Che ,che chiude televisioni di opposizione e tenta un golpe bianco stravolgendo la Costituzione. Chi spiega alla gente cosa accade in Venezuela e in America Latina? Chiedersi se è più di sinistra lui o tutta quella gente che è scesa in piazza per bloccare il suo golpe populista potrebbe creare imbarazzo a qualcuno. E l’Iraq, dove da mesi i giornalisti occidentali non mettono più piede e sono rimasti solo gli irakeni a morire come mosche per mandarci quelle poche immagini e notizie che ancora approdano da quell’inferno sui nostri media. E l’Afghanistan, dove i giornalisti hanno la stessa sorte, ma ce ne se siamo occupati solo durante il caso Mastrogiacomo? Sono tutte questioni imbarazzanti, che rischiano di risultare scomode un po’ per tutti, al governo e all’opposizione , pacifisti e militaristi. Meglio parlare d’altro. Avanti con il prossimo delitto di provincia.
Eppure, nelle biografie di quelli che ora (da morti) onoriamo come maestri, i Biagi e i Montanelli, spiccano reportages e interviste storiche proprio su scenari come quelli. E l’intervista al condannato a morte era un must di quel giornalismo. Ora che siamo tutti globalizzati, non sfuggiamo all’alternativa fra le memorabili dichiarazioni di Mastella o Dini o le frizioni pubblico -private Berlusconi - Fini e l’ultimo fattaccio di provincia. E lo sappiamo bene, lo dovremmo sapere, che su quelle scene è difficile vincere un Pulitzer o diventare Grandi.
Ma tant’è.
D’altro canto, l’entusiasmo per la campagna italiana sulla Moratoria Universale della Pena di Morte è lasciato tutto ai soli Radicali ( come fosse una robetta un po’ snob , viva i Radicali!) e al ministro D’Alema che ora lavora nell’ombra. Gli altri hanno tutti cose più importanti da fare. Se il mondo è fatto di lupi ed agnelli, l’impressione è che molti, nella nostra categoria, abbiano ormai scelto di fare l’ufficio stampa dei lupi. E questo basso profilo potrebbe avere anche una qualche relazione con la difficoltà a farsi riconoscere i propri diritti, a cominciare dal rinnovo del contratto. Io, che sono all’antica, continuo a pensare, come mi hanno insegnato da piccolo, che i buoni si occupano degli agnelli. Faccio il mio lavoro di pastore , in collina, sperando che non arrivi mai Pasqua. Stefano Marcelli presidente di Information Safety and Freedom

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