Thursday, November 22, 2007
Uccise Baldoni. Ora è pagato dagli americani
Nel mondo arabo gli affari si fanno sempre davanti a una tazza di “ciai”, di the. Quando poi sul tavolo compare anche una bandierina, formalisti come sono, non c’è dubbio: è un incontro ufficiale. Dunque, l’incontro a Baghdad fra il generale americano David Petraeus, il vicepresidente iracheno Bahram Saleh e il leader del gruppo “Rinascita dei Cavalieri della Mesopotamia”, Abu al-Abed, documentato da una foto, è per stringere un accordo. Solo che l’uomo che si fa chiamare Abu al-Abed fino a pochi mesi fa (sei, per l’esattezza) era il capo dell’Esercito Islamico dell’Iraq, l’organizzazione terroristica che fra l’altro ha rapito e ucciso Enzo Baldoni. Trentacinque anni, ex ufficiale di Saddam, nome vero Saad Erebi al Ubaidy, per anni ha combattuto duramente contro le forze statunitensi ma ora ha cambiato casacca, lavora per gli Usa da cui riceve stipendio, armi e appoggio logistico. Gli americani lo sanno bene cosa hanno fatto lui e la sua organizzazione trasferitasi in massa nel nuovo gruppo (il generale Petraeus è il comandante supremo delle forze Usa in Iraq) ma hanno chiuso un occhio su tutto, compresa la pressante richiesta italiana di restituire la salma di Baldoni. Lo rivela il quotidiano arab al Hayat edito a Londra che ha intervistato l’ex capo terrorista. “L’accordo è nato sei mesi fa – rivela il cosiddetto Abu al Abed -, un vero e proprio contratto di tre mesi in tre mesi, rinnovabile. Io garantisco la sicurezza nei quartieri sanniti contro il nemico comune che ora è al Qaeda. Ho 900 uomini, 600 provenienti dall’Esercito Islamico, gli altri sono poliziotti di origine sunnita. Gli americani ci passano lo stipendio (ogni uomo prende 360 dollari al mese), oltre ad armi moderne e basi. Talvolta ci appoggiano anche militarmente, insomma combattiamo insieme. Il passato da nemici? Cancellato”. Troppo facile. Ma agli americani, gli unici che potrebbero chiederglielo (ormai da alleati addirittura) già distintisi in inchieste chiuse in fretta su autentiche nefandezze mascherate da guerra al terrorismo, poco importa evidentemente di una povera famiglia che aspetta almeno un corpo su cui piangere.
E adesso chiedere l'arresto dell'assassino di Enzo
Wednesday, November 21, 2007
Contro la censura
Troppo bravo? Allora è terrorista
Bilal Hussein e' un fotoreporter iracheno dell''Associated Press' in carcere dal 2006 perche' sospettato di aiutare gli insorti e il Pentagono annuncia ora di avere le "prove decisive" che si tratti di un "terrorista" infiltrato nell'agenzia di stampa americana. La sua colpa, scrive il sito web della Bbc, e' essere troppo bravo e arrivare sul luogo degli attentati poco dopo l'evento, una qualita' giornalistica che gli e' valsa tra l'altro il prestigioso premio Pulitzer nel 2005. Dopo 19 mesi in prigione, e con i termini per la carcerazione preventiva che scadranno il 12 dicembre, l'Ap sta cercando disperatamente di aiutarlo. Il presidente e amministratore delegato Tom Curley ritiene che i militari americani "desiderano semplicemente che Hussein stia in prigione il piu' lungo possibile", perche', "non vogliono che escano notizie dalla provincia di Anbar, un vero e proprio 'buco nero dell'informazione'. L'Ap denuncia che Hussein, 36 anni, venne arrestato a aprile del 2006 dopo aver fornito rifugio ad alcuni stranieri nella sua casa dopo un'esplosione nei pressi di Falluja. I marines sono entrati nell'edificio arrestando il fotografo e i suoi ospiti con l'accusa di essere sospetti insorti. Il comando americano di Baghdad aveva affermato di aver trovato nel suo pc istruzioni per preparare bombe artigianali, materiale di propaganda dei terroristi e la foto di un'installazione militare Usa. Il Pentagono, scrive la Bbc, non ha chiarito quali siano le nuove prove. Non solo. Finora l'avvocato del reporter ha denunciato che finora non gli e' stato consentito di contattare il suo cliente.
Sunday, November 18, 2007
Pakistan, il prezzo della libertà
La polizia pakistana ha utilizzato i manganelli per disperdere una manifestazione di protesta organizzata da circa 200 giornalisti e attivisti dei diritti umani a Karachi e ha arrestato circa 140 persone. Lo hanno riferito fonti locali. Negli scontri, alcuni manifestanti sono rimasti feriti alla testa. La manifestazione era organizzata all'esterno della sede dell'associazione stampa locale, nella capitale economica e finanziaria del Paese, per protestare contro la morsa della censura imposta dal regime. La polizia e' intervenuta quando i manifestanti, che scandivano slogan inneggianti alla liberta' di stampa, hanno tentato di rimuovere le barricade sulla strada che porta alla residenza ufficiale del governonare. Tra gli arrestati, il presidente del sindacato dei giornalisti a Karachi, Shamim-ur-Rehman, e Sabih Uddin Ghousi, presidente dell'associazione della stampa di Karachi. La tensione e' continuata quando polizia e paramilitari hanno bloccato alcuni manifestanti dentro la sede dell'associazione. A quel punto oltre 140 giornalisti sono usciti all'esterno e si sono offerti all'arresto. I giornalisti fermati sono stati caricati in pullman e portati via. I nuovi fermi seguono di poche ore la notizia della liberazione di 3.400 persone che erano state fermate durante le proteste anti-Musharraf dopo l'imposizione dello stato d'emergenza.
Thursday, November 15, 2007
Tuesday, November 13, 2007
Confermata pena di morte per Adnan
Adnan Hassanpour, il giornalista curdo deve finire a ogni costa sulla forca. Lo ha deciso la Corte Suprema della Repubblica Islamica, che giovedì scorso ha confermato la sentenza di morte emessa lo scorso 16 luglio dal Tribunale della Rivoluzione di Sanandaj, nel Kurdistan iraniano. Ha avuto più fortuna, per ora, Hiwa Boutimar, il compagno di disavventura di Adnan, anche lui giornalista e membro di una associazione ambientalista. Per Hiwa, la Corte Suprema ha chiesto di rimandare il caso al Tribunale del Riesame. La condanna a morte di Hiwa e Adnan aveva provocato l'indignazione dei governi di Roma e Parigi, era stato condannato dalla Presidenza portoghese dell'Unione Europea e di recente anche dal Parlamento Europeo. Ovviamente, anche le più importanti associazioni internazionali che si occupano dei Diritti dell'Uomo e della libertà d'espressione, avevano condannato la decisione del Tribunale della Rivoluzione di Sanandaj, chiedendo l'immediata liberazione dei due giornalisti. In Italia, Information, Safety and Freedom e Articolo 21, si sono mobilitati immediatamente per fermare il boia. Migliaia di semplici cittadini e decine di deputati avevano sostenuto questa campagna, che ha avuto anche l'adesione dell'organizzazione Nessuno Tocchi Caino. Una campagna che - se e forse - è riuscita a salvare dalla forca Hiwa, dovrà continuare fino a quando anche la condanna a morte per Adnan (nella foto) non sarà cancellata. Adnan e Hiwa saranno con noi il prossimo 30 novembre, a Siena, dove riceveranno il premio internazionale di giornalismo "Città di Siena-ISF". Certo, non saranno a Siena fisicamente, ma le loro idee ci raggiungeranno nella città toscana, grazie agli interventi previsti di uno dei loro legali, e le parole dei loro familiari. Saranno, infatti, con noi Hadi, fratello di Hiwa, e Leyli, la sorella di Adnan. Un momento importante, quello di Siena, che deve diventare un momento di piena solidarietà verso chi, nella Repubblica Islamica, si batte per la democrazia e per la libertà. Una lotta che spesso comporta carcere e tortura, e perfino richiede il sacrificio della vita. La Repubblica Islamica da anni è al secondo posto, preceduta solo dalla Cina, nella macabra classifica delle condanne alla pena capitale emesse ed eseguite. La presenza di familiari di Hiwa e Adnan, deve diventare un momento di lotta contro la pena di morte, e non solo nella Repubblica Islamica. Il governo italiano, che si è fatto portavoce della richiesta di moratoria della pena di morte, presentando una risoluzione al Consiglio Generale delle Nazioni Unite, certo non può rimanere indifferente al caso di Hiwa e Adnan. Le nostre istituzioni, hanno l'occasione, e secondo il mio modesto parere anche l'obbligo, di incontrare la sorella di Adnan e il fratello di Hiwa per esprimere solidarietà dell'Italia ai familiari di questi due giornalisti, ma soprattutto per affermare che nel Terzo Millennio non è più tollerabile che uomini e donne finiscano sul patibolo per il semplice fatto di esprimere le proprie idee, di non condividere le politiche di un governo, o per rivendicare i diritti negati al loro popolo. Hiwa e Adnan, curdi, laici e di sinistra, hanno una sola colpa: essere contrari a un governo teocratico che non riconosce il diritto a nessun tipo di dissenso.
Scrittrice curda condannata in Iran
La scrittrice curda Chanour Fathi è stata condannata dal tribunale di Sagghez a cinque anni di reclusione e al divieto di qualsiasi attività pubblica, compresa quella di parlare con i giornalisti, rilasciare interviste o scrivere sui siti Internet. Il tribunale di Sagghez ha ritenuto Fathi colpevole di ''attentato alla sicurezza nazionale'' e "collaborazione con partiti curdi illegali allo scopo di rovesciare il sistema dominante''. Fathi è stata arrestata al suo rientro dal nord dell'Iraq, dove si era recata con tutte le autorizzazioni necessarie per prendere parte a un festival di letteratura, dove ha ottenuto un premio per una sua ricerca sulle origini della letteratura curda. Fonti curde sostengono che la scrittrice sia stata arrestata per la sua militanza nel movimento femminista iraniano, dove è impegnata da un anno nella raccolta di un milione di firme per la parità dei diritti. Nelle scorse settimane sono finite in carcere altre due donne curde, le studentesse Hana Abdi e Ronak Saffarzadeh, anche loro impegnate nella campagna per la parità dei diritti tra i sessi.
Accoltellati da estremisti islamici
Nelle ultime 24 ore sono stati accoltellati due giornalisti iraniani, noti per le loro posizioni critiche nei confronti dell'attuale governo e del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Reza Avazpour, direttore del settimanale sportivo 'Varzesh' (Sport), è stato colpito mercoledì sera a Kerman, nell'Iran occidentale, all'uscita dalla redazione. Avazpour è stato in sala operatoria per 4 ore e rischia di perdere una gamba a seguito delle ferite inflitte da due sconosciuti armati di coltelli. Il direttore di 'Varzesh' aveva ricevuto nelle settimane precedenti diverse minacce da un gruppo che si fa chiamare "Soldati di Allah". Il giornalista ha pubblicato diverse inchieste nelle quali accusava gli attuali dirigenti della federazione calcistica e uno dei vice di Mahmoud Ahmadinejad di affossare il calcio iraniano. Durante l'aggressione i due hanno rimproverato il direttore di 'Varzesh' per aver criticato Ahmadinejad, definendolo "servo degli americani". Poche ore dopo, a Karaj, a nord della capitale, è stato accoltellato Abaselat Abed, caporedattore del quotidiano 'Mardomsalari' (Democrazia). Gli aggressori hanno portato via anche la cartella del giornalista e la sua macchina fotografica. Il quotidiano 'Mardomsalari' è vicino all'area riformista che fa capo all'ex presidente Mohammad Khatami
Nepal, ucciso giornalista
I ribelli maoisti hanno ammesso di aver sequestrato e ucciso un giornalista, il mese scorso, nella parte meridionale del Paese. L'uomo è stato assassinato a poche ore dal rapimento. La notizia, riferiscono i media locali, arriva dopo un'inchiesta interna dei ribelli, che ha portato alla conclusione che Birendra Saha è stato sequestrato il 5 ottobre scorso nel distretto di Bara, a un centinaio di chilometri da Kathmandu, e ucciso poco dopo. Proprio ieri molti giornalisti nepalesi hanno manifestato per spingere il governo a fare luce sulla vicenda. A Kathmandu i dimostranti sono arrivati allo scontro con gli agenti della polizia, che non li hanno fatti entrare in un edificio governativo. Intanto la Federazione dei giornalisti nepalesi ha condannato l'omicidio di Saha, definendolo un "crimine vergognoso. L'uccisione di un giornalista, tratto in inganno con la promessa di notizie, non è solo un attacco contro la stampa libera, ma anche contro la civiltà umana", si legge in un comunicato della Federazione, che per domani ha proclamato un giorno di protesta a livello nazionale. L'omicidio di Saha è l'ultimo di una serie di attacchi sferrati dai maoisti contro la stampa. Gli ex ribelli sono accusati da più parti di continuare la propria battaglia, con sequestri, omicidi ed estorsioni, nonostante l'accordo raggiunto alla fine dello scorso anno con cui sono entrati a far parte dell'arena politica, ponendo fine, almeno sulla carta, a una decennale guerra civile.
Fotografi di guerra
Vanity Fair photographer Tim Hetherington accompanied 2nd Platoon on Operation Rock Avalanche. After breaking his foot during a nighttime mission with the platoon, he continued to walk on it for hours before finally making it to a village where he was able to later get onboard a chopper that took him to an Army hospital where he underwent surgery. He is expected to make a full recovery and hopes to return to Afghanistan next year to continue covering the soldiers of the 2nd Platoon.
Ricordando Beppe Viola
Che non lo si possa incontrare più nei corridoi di Corso Sempione,sede milanese della RAI. sembra ancora impossibile a noi "vecchi" del cosiddetto Servizio pubblico, nutriti di moviola,di pizze cinematografiche a 16mm,di scazzi con quei preziosi e indispensabili collaboratori dei nostri servizi (montatori ed operatori)con i quali condividere, in parti almeno uguali, il successo e la precisione di questa o quella cronaca. In quelle sportive,autentica religione nazionale,sanguigna e venerata, c'era la sua figura,quella di un giovanottone dall'aria fintamente indolente,che si presentava con il suo passo strascicato, l'espressione vagamente beffarda di chi ne ha viste tante e che sapeva come dominare quella materia incandescente senza avere l'aria,in fondo,di crederci troppo,di capire esattamente quali erano i meriti e quali le colpe perchè quel "derby" era finito in quel modo,quella partita importante a favore degli uni o degli altri. Sì, manca a tutti Beppe Viola, l'uomo che era solito dire che avrebbe voluto come epitaffio la frase che aveva coniato per la sua tomba: "qui giace Beppe Viola, buono a nulla ma capace di tutto"... Ma di quante cose fosse autenticamente capace quel ragazzone lo abbiamo capito tutti un po’ tardi: autore di canzoni indimenticabili con il grande amico della sua infanzia Enzo Jannacci. Ispiratore del cabaret dirompente della Milano degli anni '60 e ' 70, sceneggiatore cinematografico con una passione per il cinema che lo portò persino ad accettare il ruolo di una "maschera " di cinema periferico,un indimenticabile "cameo". Una fucina di idee,insomma, nutrita da dall'atmosfera irripetibile di quegli anni tanto straordinari quanto irripetibili,quando l'obiettivo di cambiare il mondo sembrava proprio lì, a portata di mano. Beppe non ha fatto in tempo a cogliere quel traguardo: se n'è andato vent'anni fa reclinando il capo sulla vecchia Olivetti Lexicon 8o sulla quale scriveva,una domenica pomeriggio,l'ennesima cronaca di una partita di calcio. Una cronaca incompiuta,come la sua straordinaria esistenza. Gilberto Squizzato e Bruno Ambrosi
Giorgio Bocca: non abbiamo eredi
'L'espresso' ha parlato con Giorgio Bocca, coetaneo di Enzo Biagi (anche lui è nato nell'agosto del 1920), editorialista del settimanale e come Biagi da oltre sessant'anni testimone dei fatti d'Italia e del mondo. (…)
Quale tipo di insegnamento pensate di avere trasmesso alle generazioni di giornalisti successive alla vostra? "Che esiste sempre la possibilità di fare un giornalismo libero e indipendente".
C'è qualcosa che accomuna il modo con cui facevate giornalismo agli inizi della carriera e il modo in cui lavorano i giovani cronisti di oggi? "Mi sembra che ci siano fortissime differenze. Per noi fare il giornalismo era una vocazione, una attività totale. Oggi non mi sembra che ci sia la stessa passione o lo stesso approccio. Diciamo la verità, oggi il giornalismo spesso è di bassa qualità, se non pessimo".
Addirittura pessimo? "Sì, proprio così. Troppo spesso si vede un modo di fare giornalismo che non racconta più i fatti che accadono. Noi avevamo davanti un'Italia tutta da raccontare e lo abbiamo fatto, ciascuno a suo modo. Ricordo ancora quando andai a Vigevano a raccontare un cittadina dove c'erano duecento fabbriche. O quando Enzo fu mandato nel Polesine alluvionato".
Non sarà che la vostra generazione non è riuscita nel trasmettere ai giovani il vostro modo di fare questo mestiere? "La nostra capacità di esplorare l'Italia e di raccontarla era il modo di tracciare una strada e un esempio. Noi l'abbiamo fatto, altri hanno deciso di seguire una strada diversa".
Chi è l'erede di Enzo Biagi, un giovane che sia sulle sue orme? "Io non lo vedo. Ma può darsi che ci sia". Antonio Carlucci
Foto: Giorgio Bocca tra Enzo Biagi e Indro Montanelli
Saturday, November 10, 2007
Friday, November 09, 2007
Le notizie che uccidono
"Noi dobbiamo fare i giornalisti, nient'altro. Dobbiamo essere veri cani da guardia. Dobbiamo scrivere quel che ci risulta. Ai magistrati un'intercettazione telefonica non basta per fare un processo, ma a noi cronisti basta per fare una notizia. Nelle redazioni spesso si obietta: aspettiamo la sentenza. Bisogna replicare, osare di più, battersi per far uscire le notizie". Così la pensa Lirio Abbate, cronista dell'Ansa a Palermo, che da sei mesi vive sotto scorta, perché minacciato di morte dalla mafia. E' venuto a Roma alla Fnsi, a presentare "Vite ribelli", un libro che racconta le storie di dieci italiani anticonformisti. Quattro su dieci sono giornalisti uccisi perché, come dice Lirio, "facevano i giornalisti, nient'altro". Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli sulla prima linea delle missioni di pace in Somalia e in Afghanistan. Giovanni Spampinato e Peppino Impastato in Sicilia, sulla prima linea della dissacrazione della mafia e dfei suoi collegamenti. Ansa
Tuesday, November 06, 2007
Addio a un grande maestro
E' morto Enzo Biagi, l'ultimo cronista
Tutti invocano un successore perchè c'è la paura, anche qui, che uno come Biagi non ci sarà più. Proprio nel momento in cui c'è assoluto bisogno di un giornalista libero, un baluardo, una buona coscienza. Certo, nessuno potrà seguire le sue orme perchè nessuno può sostituire Biagi ma le orme di un maestro restano sempre. Me ne rendo conto leggendo di lui, i tanti aneddoti, la sua vita e la sua storia. Sono lontanissimo anni luce da un autentico monumento della professione che neppure ho mai conosciuto, eppure leggendo quello che ha detto e scritto, mi ci ritrovo molte volte. Significa che quelle orme sono dentro di noi, che inconsapevolmente ci siamo fatti trascinare tutti dalla sua passione e dalla sua pulizia. E per uno della mia generazione probabilmente è stato un esempio come il suo a portarmi su una strada che ho già definito difficile ed esaltante. Intanto professionalmente tutti noi siamo suoi discepoli anche sul piano tecnico: ha insegnato a tutti come si raccontano i viaggi. I viaggi: dentro i luoghi e dentro le persone. Il sistema è quello, il suo, e tutti noi abbiamo "copiato" sia sui giornali che in televisione. Ma soprattutto mi colpiscono le coincidenze con i pensieri, che scopro solo adesso. Diceva: "Avrei fatto il giornalista anche gratis, menomale che i miei editori non se ne sono mai accorti". Beh, io sempre detto: da piccolo sognavo di viaggiare e di scrivere. Ci sono riuscito con un lavoro solo: e mi pagano anche. Da ragazzo mascherava le sue origini popolane e l'ho fatto anch'io. Soprattutto nonno Enzo ha sempre rivendicato orgogliosamente, alla larga dagli intellettualismi, il suo essere cronista. Sembrava un vezzo: anche questo me lo fa sentire vicinissimo. Mi piace soprattutto il suo testamento spirituale: "Dietro di me non c'è altro che la mia coscienza, nei miei programmi futuri soltanto la tomba. Che vorrei, è ovvio, più lontana e con una lapide: 'Scrisse quello che poteva, mai quello che non voleva. Amen". Un maestro è un maestro anche perchè è capace di lasciare il senso di una vita con una sola riga. L'ho sempre pensato e qui spesso l'ho ripetuto. La vera libertà di un cronista è non scrivere quello che non vuole. Non ha purtroppo la forza di poter scrivere quello che vuole. Altrimenti, forse, il mondo sarebbe diverso.
Saturday, November 03, 2007
Emergenza in Pakistan: oscurate le tv
Diventato presidente con la forza, otto anni fa con colpo di stato militare, Musharraf cerca ora con lo stesso sistema di rimanere al potere. Dichiara lo stato d’emergenza, fa circondare dalla polizia le sedi di televisioni e radio pubbliche e oscura le emittenti indipendenti. Sospesa anche la Costituzione. Ufficialmente decisioni, gravissime, nate dal riacuttizarsi degli scontri al confine con l’Afghanistan, ma in realtà dettate dal timore del presidente del Pakistan di vedersi togliere la carica dalla Corte Suprema che la prossima settimana dovrà pronunciarsi sull’incompatibilità fra comandante delle forze armate e, appunto, quella di presidente appena riottenuta grazie a elezioni manovrate secondo l’opposizione. La prova è la destituzione proprio del presidente della Corte Suprema, la cui sede è ora sotto il controllo dell’esercito. Secondo alcune fonti sarebbe stato anche arrestato Aitzaz Ahsan, avvocato e leader dell’opposizione che aveva contestato la nuova elezione. Il Pakistan è in pieno caos e la situazione è molto preoccupante poiché il Paese ha un ruolo decisivo nello scacchiere mondiale. La mancanza di democrazia è evidente e sicuramente allarmante. Il Pakistan è stato infatti denunciato più volte da Amnesty per la violazione dei diritti umani, specificatamente sui bambini; la stampa è imbavagliata (quest’anno cinque giornalisti uccisi, due in prigione, al 157. posto su 168 nella libertà di espressione): pratica della pena di morte fra le più alte al mondo (82 condanne capitali nel 2007). In più, forse ospita al Qaeda e ha la bomba atomica. La situazione è così difficile che Benazir Bhutto, la donna della provvidenza per il popolo pakistano, ha deciso per ora di non rientrare. Per evitare, dicono i suoi amici, altre stragi.
Biagi è grave
Enzo Biagi, 87 anni, il grande giornalista e scrittore, è ricoverato in gravi condizioni in una clinica milanese del centro. Lo ha confermato la famiglia autorizzando la diffusione della notizia. Biagi è ricoverato da una settimana. Stamattina - secondo quanto spiegato dalle figlie Carla e Bice - le condizioni si sono molto aggravate tanto che la situazione è "particolarmente critica". "E' comunque lucidissimo, è sempre lui, capisce tutto" hanno aggiunto le figlie. Fonti vicine alla famiglia hanno comunque aggiunto che Biagi sta reagendo bene alle cure.
Thursday, November 01, 2007
Nepal, giornalista rapito
Circa 200 giornalisti nepalesi hanno protestato a Kathmandu contro il rapimento di un reporter che aveva scritto articoli critici contro i guerriglieri maoisti. Sia i media che un gruppo parlamentare hanno incolpato i maoisti per il sequestro di Birendra Sha, avvenuto all'inizio di questo mese. Ma gli ex ribelli, che hanno firmato un accordo di pace con il governo lo scorso anno, hanno negato ogni coinvolgimento nel rapimento. Alcuni dei manifestanti hanno attaccato la fotografia di Sha al petto e marciato fino al parlamento che si trova a Kathmandu. La maggior parte dei partiti politici accusano i maoisti di continuare attività illegali, come rapimenti ed estersioni, nonostante la fine del loro decennale conflitto contro la monarchia che ha causato più di 13.000 morti.
Cina, reporter picchiato dalla polizia
Reporters sans frontières si è dichiarata sconcertata per i maltrattamenti inflitti al giornalista Qi Chonghuai durante gli interrogatori ai quali è stato sottoposto in carcere, nella provincia dello Shandong (est del Paese). Il suo avvocato, Li Xiongbing, ha dichiarato che il giornalista è stato colpito in faccia più di venti volte dalla polizia. "Reporters sans frontières chiede oggi l'immediata liberazione di Qi Chonghuai e del suo amico e collega, il fotografo Ma Shiping, arrestatocon lui". "I poliziotti, che hanno colpito ripetutamente il giornalista in faccia gli hanno riferito che avrebbero continuato a pestarlo senza temere una punizione e che, in caso di 'incidente', avrebbero dichiarato che Chonghuai si era tolto la vita in carcere", ha precisato l'avvocato all'Agence France-Presse (AFP). Il giornalista è stato arrestato nel mese di giugno 2007 e poi accusato di "ricatto" nel mese di agosto, nella provincia dello Shandong, dopo aver denunciato la corruzione dilagante nel Partito comunista della città di Tengzhou (a ovest della provincia dello Shandong). "Le accuse rivolte a Qi Chonghai sono inaccettabili. Egli ha semplicemente fatto il suo lavoro e descritto alcuni episodi di corruzione locali," ha dichiarato Jiao Xia, sua moglie, all'AFP. Il periodo di detenzione dei due giornalisti, che non sono ancora comparsi davanti ad un giudice, ha ormai oltrepassato quello stabilito dalla legge del Paese.
Ucciso un altro giornalista iracheno
Un giornalista del settimanale 'al-Youm, Shehab Mohammed al-Hiti, è stato ucciso dopo essere stato rapito. Il giornalista aveva lasciato la sua casa diretto al lavoro, ma in ufficio non è mai arrivato, la polizia ha ritrovato il suo corpo, il giorno dopo, nel quartiere di Ur.
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