Monday, April 30, 2007
Sri Lanka, ucciso giornalista
Selvarajah Rajivarnam giornalista del quotidiano 'Uthayan', uno dei media in lingua tamil più toccati dall'ondata di violenza, è stato assassinato ieri da un killer a bordo di una moto mentre in bicicletta stava raggiungendo gli uffici del giornale. Rajivarnam, 25 anni, si occupava di cronaca, e scriveva regolarmente sui numerosi crimini che si susseguono senza sosta nell'isola.
29 dicembre 2005. A Trincomalee, a nord, la tensione e’ molto forte. Al dramma dello tsunami si aggiunge il ritorno dello scontro decennale con i tamil. Siamo arrivati, con un piccolo aereo, a ridosso dello zona controllata dalle tigri, ci sono check point ad ogni angolo di strada, in ogni vicolo, dopo gli attentati dei giorni scorsi. (...)
Una giornata per la libertà
“Un commosso omaggio alla memoria di Adjimal Naskhbandi , il collega che collaborava con Mastrogiacomo ed è stato assassinato dai Talebani . Un atto di solidarietà verso i giornalisti afghani, schiacciati fra l’incudine del terrorismo talebano e le logiche di guerra che limitano la libertà di informazione .Una decisa richiesta all’ ONU e all’Unione Europea perché voglia assumere la tutela della vita e del lavoro dei giornalisti come impegno essenziale per la tutela dei civili e il rispetto dei diritti umani sullo scenario internazionale “. Sono questi gli obbiettivi che si propone l’iniziativa Giornalisti a Kabul ( 3 maggio ore 11,30 , Sala del Gonfalone ) organizzata dall’associazione per la libertà di informazione Information Safety and Freedom in collaborazione con la Presidenza del Consiglio Regionale della Toscana in occasione della All’iniziativa , assieme a molti giornalisti italiani e stranieri che aderiscono a ISF , parteciperà Mir Haidar Mutahar, direttore del quotidiano indipendente afghano 'Arman-e-Millie' e membro dell’Associazione dei Giornalisti Afhgani. Sarà un’occasione per ascoltare una testimonianza diretta sulla situazione in Afghanistan , la condizione dei giornalisti e anche il modo come i colleghi di Kabul hanno vissuto la complessa vicenda del sequestro e della liberazione di Daniele Mastrogiacomo. “ Dopo quel sequestro – si legge in una nota di Isf – ci si chiede se sia ancora possibile praticare il mestiere di giornalista sia da parte degli inviati occidentali che da parte dei colleghi afgani. Si tratta di una pesante contraddizione sul percorso della costruzione di un sistema democratico di diritti che è l’obbiettivo della missione militare avviata in quel Paese da Onu e Nato . Lo stesso tragico paradosso si è già manifestato in Iraq , dove da due anni i giornalisti occidentali sono praticamente assenti e dove dall’inizio della guerra sono stati uccisi più di duecento giornalisti. Senza giornalisti le opinioni pubbliche non sono in grado di conoscere la realtà dei fatti e giudicare i propri governi. Senza libertà di stampa non c’è democrazia “.“ Nella Giornata Mondiale per la Libertà di Informazione – conclude la nota di ISF - non possiamo però non levare una forte e determinata protesta , anche contro le norme varate dal Garante per la Privacy e quelle sulle cronache giudiziarie approvate quasi all’unanimità dalla Camera dei Deputati . Si tratta di normative in atto solo nelle dittature o in Paesi a democrazia limitata “. Information Safety Freedom
Giornalisti ingabbiati
Danish Karokhel direttore di 'Pajhwok Afghan News' uno dei più autorevoli membri della comunità giornalistica afgana scrive a Articolo 21, che ne riferisce in una nota, per "lanciare un grido di allarme sulla situazione del giornalismo afgano. "Il barbaro omicidio di Ajmal Naqshbandi è solo l'ultimo episodio: la vita dei giornalisti afgani è diventata estremamente difficile: lo scorso anno 3 giornalisti sono stati uccisi e altri 50 hanno subito arresti, minacce, sevizie. Il giornalismo afgano è schiacciato nella morsa tra la violenza dei talebani e le minacce delle forze governative corrotte che non vogliono testimoni". "Un nuovo progetto di legge in discussione alla Camera Bassa (Wolesi Jirga) potrebbe ulteriormente ridurre la libertà dell'informazione". Danish Karokhel nella lettera afferma che "l'Afghanistan è a un bivio. Il rischio di regressione è concreto, e sarà tanto piu' accentuato se mancheranno alla stampa afgana le risorse e le condizioni per lavorare con libertà, al servizio della società afgana''. La lettera di Danish Karokhel
Sunday, April 29, 2007
Iraq, ferita celebre giornalista televisiva
Friday, April 27, 2007
Cambogia, ucciso reporter
Giornalista russa chiede asilo politico
Algeria, nuovi guai per Larbim
Il corrispondente del quotidiano francese Le Figaro, Areski Ait Larbim, sarebbe stato fermato all'aeroporto di Algeri e trasportato in un commissariato di polizia dal quale sarebbe stato in seguito rilasciato ma senza il passaporto. Già nel novembre scorso, grazie ad un'ampia mobilitazione di diverse personalità, come ricorda il quotidiano "Liberacion", il giornalista era riuscito a ottenere nuovamente il documento per l'espatrio. Afrique I giornalisti non hanno vita facile nemmeno in Algeria. Con riferimento alla storia di questo giornalista (che è molto lunga) in un sito ho letto "Se volete vivere in questo Paese splendido (Algeria), evitate di essere giornalista, avvocato od oppositore politico". Mericonci E io che ho chiesto anche il visto... (p.sc.)
Thursday, April 26, 2007
Partire
Vietnam, arrestata giornalista
Il solito Betulla
«Quando, pur rispettando queste norme di prudenza, capitasse comunque di finire nelle mani di bande di "resistenti", il giornalista - e qui siamo al vero e proprio testamento biologico - chiede comunque allo Stato di non trattare per la propria liberazione. Autorizza soltanto blitz armati. Dichiara sin d'ora che ritiene ignobile e offensivo per sè lo scambio di prigionieri. Infatti lo scambio di prigionieri sussiste solo nel caso ci siano due eserciti armati l'uno contro l'altro. I giornalisti invece, quando fanno il loro lavoro, appartengono esclusivamente al genere umano. [...] In caso di condotta giudicata temeraria da un giurì di magistrati, giornalisti e politici, ogni e qualsiasi spesa supportata dal nostro Stato, anche in caso di esito letale, sarà a carico in solido del giornalista, del direttore e dell'editore della testata che lo ha inviato sul posto.[...] Naturalmente, non potrebbe esserci una legge siffatta. Non è questo. Ma un patto tra gentiluomini, un testamento biologico, sarebbe un buon viatico per evitare future disgrazie. Si rifletta: gli unici bravi giornalisti senza paura capaci di fornire immagini di vera documentazione dell'orrore sono stati quelli dell'Ufficio stampa dei talebani.» Libero
E noi, poveri stronzi, che ce la prendiamo con le politiche di guerra, con chi le guerre le finanzia, con i produttori di armi, con le bombe sganciate sui civili... maddeché!!? Era tutta colpa dei giornalisti.... Vegekuu
Wednesday, April 25, 2007
L'inferno della Nigeria
Tanti anni fa, più o meno venti. Stavo in Nigeria per seguire la vicenda dei rifiuti tossici. In una discarica dalle parti di Benin city, nel porto di Koko, erano stati ammassati centinaia di bidoni provenienti dall'Italia. Scaricati, grazie alle complicità locali, da ditte italiane. Nel filmato quelle ditte erano individuabili e, dopo il servizio in televisione, l'allora pretore Amendola aprì un'inchiesta che portò alla condanna di quelle ditte. Anche noi, per fare quelle riprese, fummo costretti a pagare. Come fummo costretti a pagare appena entrati nel Paese solo per riavere il passaporto o per avere la stanza superprenotata dell'albergo. Poi a Lagos tentammo di seguire un'altra vicenda delicata: il sequestro da più di un mese di ventiquattro marinai italiani, bloccati su una nave mercantile. Forse legato alla storia dei bidoni tossici perchè il governo nigeriano voleva un risarcimento e teneva quei marinai come ricatto. La questione del sequestro era ufficiale e allora decidemmo di non pagare nessuna tangente. Ci mettemmo tranquillamente in fila. Dopo nove giorni estenuanti riuscimmo ad ottenere il permesso del ministro dell'informazione e del governatore della capitale. Pieni di pezzi di carta andammo allora al porto a riprendere la nave. L'operatore fece appena in tempo a tirare su la telecamera che ci arrestarono. Ricordo, nome lugubre, si presentarono come SSS: i servizi di sicurezza del presidente. Con potere su tutto e su tutti. Ci dissero: "Quella per noi è carta straccia". Ci tennero per un giorno in gattabuia e poi ci tolsero i passaporti in quello che era una specie di arresto domiciliare: chiusi nella stanza d'albergo con due ufficiali fuori la porta. Che però la notte andavano via convinti che ormai tanto non eravamo pericolosi (con il buio) e invece noi andavamo all'aeroporto a spedire i servizi girati dalla terrazza che stava proprio sopra il porto. La stessa sorte toccò anche a una troupe del Tg2 guidata dall'amico Stefano Marcelli che ora si batte per la libertà di stampa. Quell'avventura meriterebbe un lungo racconto come la grande paura di vivere a Lagos dove la vita non valeva una "naira", con gli italiani asserragliati dentro casa e la scoperta del mercato di carne umana. Dopo otto giorni ci mandarono via, per fortuna. Qualche giorno dopo mi arrivò in redazione a Roma una letterina dell'ambasciata nigeriana. Gentissima. Avvertiva: "Per il vostro bene non tornate mai più a Lagos, è un consiglio". Non ci sono più tornato. Dovevo tornarci due mesi fa, ma invece il destino mi portò a Kabul. Non so se ci ho guadagnato, ma tant'è: fare il reporter ormai non è più facile da nessuna parte.
Tuesday, April 24, 2007
Messico, un altro reporter ucciso
Iraq, sfugge all'agguato
Iran, condannate quattro dissidenti
La repressione azera
Azerbaijan, coda dell'ex Impero Sovietico. Un lembo di terra posto a cuscinetto tra Russia, Georgia, Armenia e Iran, con tanto petrolio da farlo circolare nelle vene fino a farle scoppiare. Ma dietro questa ricchezza, così coccolata da Bush, la terra sputa sangue, violazioni dei diritti umani e repressione. (…) Ciò che oggi stupisce maggiormente in Azerbaijan è il meccanismo delle condanne, che prevede anche i lavori forzati per i reati d'opinione. Dopo lo smembramento dell'Unione Sovietica, nell'area caucasica sono rimasti in vigore i vecchi codici penali, che prevedono pene severissime per tali reati. I gulag di un tempo rivivono nei nuovi campi di lavoro, dove sono internati giornalisti e intellettuali dissidenti. Elmar Huseynov, editore e fondatore del settimanale d'opposizione Monitor è stato assassinato sulla porta di casa a Baku. Samir Sadagatoglu, editore, e Rafiq Tagi, noto cardiologo e scrittore, sono stati arrestati per aver criticato il presidente degli scrittori cantore delle gesta del regime. In modo particolare il giornale Sanat, edito da Samir Sadagatoglu, aveva pubblicato un articolo dal titolo “L'Europa e noi”. In questo servizio veniva messo in discussione il ruolo dell'Islam nello sviluppo del paese. Nel testo si parla di arretratezza degli stati musulmani dell'area caucasica causata dall'oscurantismo della classe dirigente. Per la pubblicazione di questo articolo era anche stata chiesta la pena di morte da parte delle autorità islamiche. Anche i loro famigliari sono stati minacciati e vivono nel terrore di essere assassinati. Lo scontro con il governo è frontale. Le ultime disposizioni imbavagliano la stampa, rendendo l'informazione interamente controllata dal regime. Si chiudono giornali, si arrestano direttori di testate, si minacciano i loro parenti. Chi non vuole assoggettarsi alle nuove leggi pratica l'autocensura o viene arrestato. È noto il caso del giornalista Faramaz Novruzoglu condannato a 18 mesi di lavori forzati, chiamati ufficialmente “lavoro rieducativo”. È il vecchio spirito sovietico che riemerge nella sua drammaticità. L'Azerbaijan non è un caso isolato. Tutta l'area caucasica sta esplodendo: dall'Azerbaijan all'Uzbekistan, dalla Georgia al Tajikistan, dall'Armenia al Kazakistan al Turkmenistan. È la sfida che l'Occidente dovrà sostenere nei prossimi anni: la libertà contro la vittoria della barbarie. Emanuele Bettini PeaceReporter
Somalia. un inferno
Saturday, April 21, 2007
Pulitzer
Oded Bality, fotografo dell'Associated Press, ha vinto il premio Pulitzer per l'immagine di una colona ebrea che resiste alle forze di sicurezza israeliane impegnate nello sgombero in Cisgiordania. I giurati l'hanno definita una "forte fotografia". Parla la ragazza della foto, si chiama Nili e ha sedici anni.
I viaggi a rischio
Thursday, April 19, 2007
Cuba, un altro dissidente in prigione
Iraq, impossibile lavorare
Messico, giornalista rapito
Wednesday, April 18, 2007
E a Kabul arriva la censura
A Kabul più di cinquanta uomini armati del decimo distretto di polizia, sotto ordine diretto del procuratore generale Abdul Jabar Sabet, hanno circondato gli uffici di Tolo Tv a Wazir Akbar Khan. La polizia è entrata nei locali dell’emittente e ha attaccato violentemente lo staff , arrestando tre impiegati. Secondo l’accusa, Tolo Tv avrebbe riportato senza sufficiente cura i commenti del procuratore generale nel corso di una conferenza stampa. PeaceReporter
Due anni fa fu uccisa una conduttrice di Tolo Tv La ragazza senza burka - Per il governo afghano la liberazione di Clementina Cantoni e' vicina ma intanto arriva la minaccia di un ultimatum per questa sera e anche i servizi segreti italiani sono convinti che bisogna fare in fretta. La situazione non e' chiara, ma non si puo' far altro che aspettare. Ma la notizia che oggi mi ha inquietato e' l'uccisione di Shaima Rezayee, poco piu' che una ragazzina, presentatrice di una tv afghana. Un colpo alla testa, un'esecuzione per una delle poche giovani che stavano tentando di uscire dalla cultura del burka. Una notizia arrivata da un medico italiano, Marco Geratti, che se non sbaglio lavora per "Emergency". Altrimenti un fatto di sangue cosi' grave sarebbe rimasto nascosto. Perche' c'e' ancora chi vuol far credere che a Kabul c'e' la pace. Ricordo di quando Shafique, il mio fidatissimo driver, mi raccontava di tanti omicidi, anche nelle hall degli alberghi, mai denunciati dalla polizia afghana. Qualche ora fa mi ha chiamato, lo fa regolarmente. Gli ho chiesto come va. "Malissimo" mi ha risposto. 18 maggio 2005
Tuesday, April 17, 2007
La stampa come strumento di crescita
Inviato in galera
Il 7 aprile del 2006 il collega Mario Spezi veniva arrestato per ordine della Procura di Perugia nell'ambito dell'inchiesta sull'omicidio dell'avvocato Narducci e gli omicidi del mostro delle coppiette di Firenze. "Information Safety and Freedom" pubblica uno stralcio del primo capitolo del libro che Spezi ha dedicato alla sua vicenda.
"Mi hanno tolto anche l'orologio. E’ buio. Credo che siano più meno le dieci di questo rintronato venerdì 7 aprile. Alle mie spalle esplodono, uno di seguito all'altro, i colpi delle due porte metalliche che vengono chiuse. La prima è solo a sbarre; la seconda - il "blindato" – è tutta di ferro, con lo spioncino quadrato al centro, giusto all'altezza degli occhi. E’ un rumore che va oltre le orecchie, che comincia a scorrere freddo nelle vene, entra nel cervello, poi, nel cuore. Lo so da subito: non uscirà più da me, resterà in circolazione come un virus che si può tenere sotto controllo, eliminare, mai". (…) Mario Spezi segue
Arabia Saudita contro internet
Albania, giornalisti in piazza
Monday, April 16, 2007
Un altro morto ad Haiti
Tritolo per Dejan
"Ritornano gli anni novanta". "Si torna al periodo della dittatura". "Tornano gli anni di piombo". Sono solo alcune delle reazioni di alcuni politici, giornalisti e attivisti per i diritti umani al brutale attentato avvenuto nella notte tra venerdì e sabato scorso al giornalista del settimanale “Vreme”, Dejan Anastasijevic. Due bombe piazzate sotto la finestra dell’abitazione del redattore di “Vreme”, a Belgrado. La prima è esplosa alle 2.50 del 14 aprile, proprio sotto la finestra della camera da letto dove dormivano Dejan, la moglie e il figlio. L’esplosione ha mandato in frantumi la finestra e la facciata dell’abitazione, mentre il secondo ordigno non è esploso. Fortunatamente nessuno è rimasto ferito. Osservatorio Balcani
Ma è vero che siamo matti?
Mi si accapona la pelle, recuperando i ricordi. Anna l'ho conosciuta tre anni fa a Francavilla, proprio per il premio dedicato a Russo. Molto li accomunava, soprattutto quella battaglia coraggiosa contro le infamie dell'esercito di Putin. Gentile, discreta, sorridente sembrava una tranquilla signora della nuova società moscovita. E invece era una cronista cocciuta, senza paura. Talmente brava che per farla star zitta l'hanno dovuta uccidere, bastardi.
Sunday, April 15, 2007
Ucciso Alan Johnston?
Un altro reporter russo avvelenato
Ancora morti in Iraq
In carcere da un anno
In una lettera indirizzata a Robert Gates, segretario Usa alla Difesa, l’organizzazione Reporters sans frontières ha denunciato il mantenimento in stato di detenzione del fotografo Bilal Hussein, 35 anni, che lavorava per l’agenzia di stampa Associated Press, incarcerato da più di un anno nel carcere di Camp Crooper (vicino alla capitale). “Molti giornalisti - si legge nella denuncia - sono stati arrestati dall’inizio della guerra in Iraq dalle forze di occupazione. Quasi tutti sono stati detenuti per parecchi mesi prima di essere rilasciati senza che le accuse fossero mai provate. Niente oggi può giustificare la detenzione di Bilal Hussein, che secondo il suo avvocato non è stato più interrogato dal maggio 2006. Il giornalista, accusato di aver avuto rapporti con gli insorti che lo avrebbero autorizzato a scattare fotografie sulla ribellione irachena, è stato definito dal giudice che lo ha inquisito “una minaccia assoluta per la sicurezza”. Nessuna altra prova è mai stata fornita per giustificare la sua colpevolezza”. Isf
La cara, vecchia June Callwood
Vengo a sapere proprio ora grazie a una e-mail arrivata da Montreal (Canada, Quebec) della morte di June Callwood, la più autorevole giornalista canadese. June aveva 82 anni, e era conosciuta come ‘ la coscienza del Canada. Nel 2004 scoprì di essere stata colpita da una crudele forma di cancro, con un alzata di spalle rifiutò ogni cura, ‘non ho tempo da perdere con medici e lettini di ospedale’ amava ripetere, ‘ho da fare io, ho ancora mille cose da fare…mica posso stare appresso a qualche stupido camice bianco…’. Attivista dei diritti umani e ‘madre’ dei diritti civili canadesi, si battè fin dagli anni 60 contro la guerra in Vietnam (è grazie a lei e alla sua battaglia se il governo canadese approvò la famosa legge che concedeva asilo ai soldati americani in fuga dalla guerra), perchè fossero riconosciuti uguali diritti a tutte le minoranza etniche e religiose presenti nel suo sterminato Paese. Autrice di più di trenta libri e saggi sulla povertà nei paesi ricchi è stata la fondatrice dell’Associazione dei giornalisti canadesi; del primo centro per la tutela dei diritti delle ragazze madri; della prima comunità dove potevano trovare riparo e difesa tutte le donne abusate; della prima struttura dove potevano trovare cure gratuite e adeguate i poveri malati di AIDS. E’ riuscita a far passare leggi nel parlamento canadese quali l’aborto e la cancellazione della pena di morte anche dai codici militari. Negli ultimi anni aveva fondato due associazioni che battevano contro la guerra in Iraq e per il ritiro delle truppe canadesi dall’Afghanistan; era appena tornata dalle isole Prince Edward dove era andata a picchettare i moli dove facevano ritorno - dopo la mattanza di cuccioli - le navi dei cacciatori di foche. Aveva in programma un viaggio in Africa dove con un associazione aveva adottato a distanza oltre mille bambini di otto Paesi sub-sahariani. L’hanno trovata due sue assistenti con la testa riversa sulla tastiera del pc: sul monitor il testo di una lettera di protesta indirizzata al governo contro l’ipotesi di una modifica (in senso più ‘permissivo’) delle leggi sulle armi in vigore in Canada… Come avrebbe mai potuto trovare del tempo per ’stare appresso a quei camici bianchi’ la vecchia June? Roberto di Nunzio